sabato 1 febbraio 2014

CINEMA ESPRESSIONISTICO: Il gabinetto del dottor Caligari



Con il termine espressionismo si usa definire la propensione di un artista a privilegiare, esasperandolo, il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente.
Fu un movimento artistico fiorito in Germania all'inizio del Novecento, che trovò un grande riscontro inizialmente nella pittura, poi anche nella letteratura, nelteatro, nella musica e nel cinema. Il movimento assunse una sua fisionomia precisa tra il 1910 ed il 1924. Le sue caratteristiche essenziali erano una forte distorsione del segno (sia esso la frase poetica, la linea pittorica, il gesto teatrale o l'inquadratura cinematografica), un "grido anarchico" (Unschrei[2]) che rompeva gli schemi dell'arte tradizionale. 
Per operare distorsioni "espressioniste" nel cinema, che sostituivano alla descrizione oggettiva della realtà una percezione soggettiva, si dovettero recuperare tutti quei trucchi speciali del vecchio cinema delle attrazioni, in modo da ricreare mondi irreali, distorti, allucinatori. Anche il contenuto si adattava a temi misteriosi e soprannaturali, prese dal regno delle ombre e dall'universo delle creature del male, potenziate dalle possibilità del cinema. L'uso di modalità stilistiche esasperate e deformate suscitava nel pubblico sensazioni ed emozioni forti.
Grande importanza nella creazione di questi mondi irreali ebbe la scoperta del cosiddetto effetto Schüfftan, dal nome del grande fotografo Eugen Schüfftan, che permetteva la creazione di mondi virtuali a costi molto bassi rispetto alle scenografie. Esso consisteva nell'uso di cartoni disegnati che venivano proiettati e ingigantiti con un gioco di specchi, fino a divenire sfondo di una parte dell'inquadratura, mentre in un'altra si muovevano gli attori in carne ed ossa, magari inquadrati da lontano. Nacquero così intere città fantasma e architetture vertiginose, vere e proprie antenate del blue screen contemporaneo. L'esempio più evidente dell'utilizzo di tale metodo nel cinema espressionista tedesco è costituito dall'imponente e moderna città che dà il nome al film Metropolis (1927), resa gigante proprio dall'impiego del metodo Schüfftan.

Un'altra caratteristica che fece la forza del cinema tedesco di quegli anni è l'uso del primo piano con effetti demoniaci e persecutori o, viceversa, vittimistici e perseguitati[4]. Il grande valore espressivo dei volti tenebrosi, truccati pesantemente o dalle espressioni sovraccariche, venne sfruttato in maniera coerente per la prima volta proprio nella Germania di questo periodo.
Prominente fu l'uso di fondali dipinti (di derivazione teatrale), che portò ad una subordinazione dei personaggi, che alle scenografie dovevano adattarsi. Angoli acuti, ombre marcate e recitazione spigolosa sono comunque i capisaldi dell'espressionismo.
Il gabinetto del dottor Caligari è un film muto del 1920 diretto da Robert Wiene.
L'opera realizzata è considerata il simbolo del cinema espressionista. Gioca moltissimo con il tema del doppio e della difficile distinzione tra allucinazione erealtà, aiutato da una scenografia allucinante caratterizzata da forme zigzaganti.

Quando venne girato, nel 1919, l'espressionismo nell'arte era già un movimento noto e conosciuto, per cui il film ne segnò l'apoteosi, aprendo una nuova strada anche nella cinematografia.
La storia di accuse reciproche tra i personaggi è già di per sé delirante, ma quello che scuote lo spettatore è la caratterizzazione delle inquadrature, girate in scenografie allucinate dalla geometria non euclidea, con spigoli appuntiti, ombre minacciose, strade serpentine che diventano vicoli ciechi. I personaggi recitano col volto pesantemente truccato, in particolare il sonnambulo, che ha gli occhi cerchiati di nero. Il mondo distorto è quello della mente malata di Franz e riecheggia le opere di Kirchner, ma anche le scenografie futuriste di Enrico Prampolini in Thaïs.
Il film è girato tramite lunghe inquadrature fisse, con poco montaggio, che crea una sorta di bidimensionalità, oltre all'effetto asfissiante che l'inquadratura sia chiusa su se stessa, come se fosse un mondo a parte, al di fuori della quale non esiste niente.



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